SUSPIRIA (2018) // Recensione


Sono seduto davanti al computer tentando di pensare a come cominciare e a cosa dire, ma non ce la faccio. Attendevo questa pellicola da un bel po', ma non mi aspettavo nulla di nulla di quello che ho visto. 

Suspiria è un film del 1977, diretto da Dario Argento. L'ho visto quest'estate (ne ho parlato nel primissimo articolo del blog) e ne sono rimasto folgorato. Sì, è vero, la storia è un po' quella che è, gli attori sono un po' quelli che sono, ma per me Suspiria è un'esperienza fuori dagli schemi e dagli stilemi del cinema: è una fiaba gotica su schermo, dove luci, storia e musica si mescolano per creare un qualcosa che è difficile definire, ma che fin'ora ho solo visto in quel film. Ragion per cui un remake non era affatto necessario. Ragion per cui il Suspiria di Luca Guadagnino, uscito nelle nostre sale il primo Gennaio (ritardo clamoroso di due mesi rispetto al resto del mondo), non è un remake. E' un omaggio, una rivisitazione, una "cover", come la stanno definendo il regista e gli attori. Del film originale rimangono soltanto le linee generali della trama, qualche riferimento qua e là, e ovviamente anche i personaggi.

Ma quindi Guadagnino (anche lui regista italiano, che molti si ricorderanno per Chiamami Col Tuo Nome) cos'ha fatto di tanto diverso? Beh, è come se avesse desaturato il film originale, dando l'energia ricavata dalle fortissime luci al neon allo sviluppo dei personaggi, che sono ben più definiti che nell'opera originale: Susie, la protagonista - interpretata da Dakota Johnson, reduce da un ottimo lavoro in Sette Sconosciuti a El Royale (e sì, anche 50 Sfumature di Grigio, ma per me quella saga non esiste, è frutto dell'immaginazione di un dodicenne) - si reca a Berlino per studiare danza in un'accademia prestigiosa. Scopriamo che viene da una famiglia mennonita (di stampo anabattista) e che, una volta giunta a scuola, viene quasi istantaneamente osannata dalle insegnanti. Queste ultime (e non è uno spoiler perchè è letteralmente scritto sul poster) sono in realtà una congrega di streghe, seguaci delle figure ancestrali delle Tre Madri. All'interno della cerchia, si sta aprendo una sorta di guerra fra la "capa" - madre Markos - e un'altra figura di spicco della pellicola - madame Blanc, interpretata da una sensazionale Tilda Swinton: non l'ho mai vista calzare a pennello un ruolo più di così, vi giuro (e qui in realtà fa tre ruoli, ma non vi dirò quali altri, perchè è bello scoprirlo dopo il film), e si sente che comunque questo è un progetto a cui ha aderito fin da quando ha conosciuto Guadagnino, moltissimi anni fa. 

Un altro aspetto importante del film (che differisce totalmente dall'originale) è il contesto storico. Attraverso gli occhi di un vecchio psicanalista, Josef Klemperer, esploriamo un po' la Berlino post-bellica, nel pieno della divisione est-ovest (il film è ambientato nel 1977), dove notiamo moti rivoluzionari e proteste, che analogamente alla "nuova" e "vecchia" scuola all'interno dell'accademia, cercano di smuovere il triste destino del loro paese. Questo è anche un po' l'anello debole del film: la storia di questo psicanalista e l'inserimento del contesto storico, seppur ben eseguiti a mio parere, sembrano un di più, non strettamente necessari alla riuscita del film, che funzionerebbe benissimo se questi tratti fossero solo brevemente accennati.

Parlando di tratti tecnici, la regia è "stratosferica" (usando le parole del buon Sorrentino, che assieme alla Fabbro e al signor Solcanubi - ospite d'onore - del Nuovo Cinema Il Faro, mi hanno accompagnato in questa infausta avventura). Guadagnino riesce a trovare un connubio perfetto fra il passato e il presente, usando un montaggio serrato ed effetti speciali surreali (specie nelle sequenze di sogno, terrificanti e criptiche), uniti a tecniche come lente carrellate e zoom improvvisi, che donano al film un tocco quasi vintage, se non documentaristico, oserei dire. Altro elemento che mi ha devastato è stato l'uso del corpo umano, che fa tanto, tantissimo. C'è un netto contrasto fra le scene di danza, molto ben studiate e strutturate, ad altissima intensità, e il grottesco più totale, dove il disgusto non fatica ad emergere, grazie all'alterazione e al dilaniamento subiti dal malcapitato di turno. Qui spicca la Johnson che ha fatto un ottimo lavoro, donando ai suoi movimenti una dimensione quasi onirica ed esoterica, giustamente. 

Parlando di musica, invece, abbiamo un sorprendente Thom Yorke (storico leader dei Radiohead) che ha creato ciò che è probabilmente una delle colonne sonore meglio riuscite che io abbia mai sentito. E' riuscito a fare giustizia a quella originale dei Goblin, ma anche lui, dandogli una nuova dimensione, quasi malinconica, ma riuscendo a ricreare lo stesso effetto da "stordimento" (un momento su tutti è sicuramente la scena del "saggio"). 

Cos'altro dire, se decidete di andare a vedere Suspiria, preparatevi. Io e i miei compari siamo usciti perlplessi dalla sala - sicuramente questo non è un film per tutti (infatti si sta rivelando molto divisivo fra pubblico e critica) - molti momenti erano forse eccessivamente complessi da digerire, ma ora che ho carburato, pensandoci e ripensandoci quasi ossessivamente (e solo questo film mi ha fatto quest'effetto, di quelli usciti quest'anno), posso dire con certezza che nel 2018 nient'altro mi ha sbigottito così, e che Suspiria si piazzerà fra gli altissimi piani della classifica, che ormai incombe. 

Voto: 9.5
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Next up: i pettorali di Jason Momoa. A domani.

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