MUSE - SIMULATION THEORY // Recensione


La seconda recensione musicale del blog comincia nel 1994, quando a Teignmouth, in Gran Bretagna, tre giovani formano il gruppo che negli anni avvenire, sarà uno dei più sperimentali e camaleontici, ma allo stesso tempo uno dei gruppi di maggior successo mondiale.

I Muse sono sempre stati una costante nella mia vita, fin da quando avevo capacità di apprezzare musica, mi hanno sempre colpito per via della loro unicità nell'essere così variegati, e per la voce di Matthew Bellamy, che tutt'oggi reputo uno dei vocalist più talentuosi sulla piazza. 

Dopo l'ultimo Drones, album del 2015 che ha diviso i fan fra chi lo ha lodato per un ritorno a sonorità più grezze (incluso il sottoscritto) e chi lo ha disprezzato per semplicità eccessiva, il gruppo ci ha seviziato per più di un anno con l'uscita di vari singoli, a cominciare da Dig Down, passando per Something Human, fino a Pressure. Questi singoli mi avevano lasciato un amaro in bocca alquanto grosso: i Muse si stavano trasformando in un gruppo pop. Dopo l'annuncio di Simulation Theory e la sua pacchianissima copertina/estetica, mi sono detto: "Bene. Prepariamoci ad una tamarrata allucinante." E quando è uscito finalmente l'album, è esattamente ciò che mi sono trovato: una tamarrata allucinante. Ma eseguita in modo ottimo, e soprattutto divertente.

In questo contesto, i singoli che non mi avevano fatto impazzire, funzionano, e la visione che il trio voleva indurci ha acquisito finalmente un senso. 
Andiamoci a tuffare in questo delirio synth virtuale che è il nuovo album dei Muse.

ALGORITHM

Il disco si apre con ciò che può essere definito "la pubblicità della nuova Opel". Un ritmo elettronico lento, cadenzato, con una melodia solenne e altisonante - Algorithm è una Take A Bow portata agli estremi dell'elettronica, con una voce che ci annuncia che siamo tutti intrappolati in una simulazione, e che dobbiamo dichiarar guerra al nostro creatore. Il coro è fantastico, e l'effetto e la qualità del suono la rendono una delle migliori in tutto il disco.

THE DARK SIDE

Seguendo su queste linee melodiche molto oniriche, The Dark Side ci presenta un ritmo dance, sempre abbastanza lento, con una linea vocale che verte sull'inquietante e il fantascientifico. Un tipico testo Muse-ico, con dei controcanti stile Queen, in questo pezzo, nonostante le sonorità decisamente anni '80, riusciamo a riconoscere i Muse perfettamente, e riesce a funzionare benissimo.

PRESSURE

Panic Station + Psycho = Pressure.
Strumenti a fiato, bassi distorti e falsetto, per una canzone pop rock in pieno stile anni '80 (ovviamente questo è il motivo ricorrente in tutto l'album), Pressure è fra le più orecchiabili nel disco - basta un ascolto e si verrà totalmente catturati. Forse un po' troppo ripetitiva, ma la sua semplicità è anche il suo forte.

PROPAGANDA

Di qua si parte per il vero delirio. Propaganda è qualcosa di totalmente inedito per i Muse, che si cimentano in un pezzo lounge-pop dalle venature country, prendendo in prestito lo charme di Prince. Al primo ascolto può spiazzare, ma per me è finita istantaneamente fra le mie preferite di tutto l'album. Impossibile resistere a quel groove.

BREAK IT TO ME

Di simile stampo è Break It To Me, ma qui le influenze sono orientali più che altro. Se Propaganda è un delirio divertente, questo brano è peggio ancora. Il primo ascolto è stato traumatico, pensavo che facesse schifo. Riascoltandola meglio sono riuscito a darle un senso, anche se trovo che comunque in questo brano ci sia un po' troppa carne al fuoco, mentre Propaganda funziona per via della sua chiarezza nell'arrangiamento. Tuttavia è un pezzo divertentissimo.

SOMETHING HUMAN

Questo è il singolo che ho sentito girare di più per radio e, effettivamente, si tratta del pezzo più commerciale in tutto il disco. Non mi è mai dispiaciuto, il pezzo ha questo carattere da "pezzo acustico attorno al falò" che lo rende appunto un po' più umano (no pun intended) rispetto al resto dei pezzi dell'album. Cantabilissima, so già che dal vivo regalerà bei momenti. 

THOUGHT CONTAGION

Non ho capito perchè abbiano concesso un pezzo agli Imagine Dragons, del resto questo non è un loro album!
Scherzi a parte, Thought Contagion è ripetitiva, sì, ma ha un groove pazzesco che unito al coro del ritornello crea un pezzo veramente coinvolgente, orecchiabile e che verte verso territori più rock, il che arrivati a questo punto nell'album, cominciavano a mancare un po'. 

GET UP AND FIGHT

Per quanto mi riguarda, questo pezzo è l'unica vera nota dolente di tutto il disco. Sembra una canzone scritta per parodizzare i pezzi pop del 2010. Una melodia femminile ricorrente, una base disco e un ritornello ai limiti del cringe, conditi da un enorme peccato: l'autotune su Matthew Bellamy. COME?!
Penso che sia uno dei pezzi peggiori che i Muse abbiano mai partorito. Spero non diventi un singolo perchè non sopporterei sentirla in giro, ugh

BLOCKADES

Un po' una rivisitazione di Map of the Problematique , Blockades è un pezzo classico dei Muse, niente più, niente meno. Funziona, ma non mi entusiasma più di tanto - di certo però si lascia ascoltare alla grande. Bellissimi i controcanti.

DIG DOWN

Ho detestato Dig Down fin dalla sua uscita, reputandola una Madness da discount. Mi sbagliavo, dopo aver ascoltato la versione gospel, ho ridimensionato e risintonizzato le mie antenne, e devo dire che il pezzo presenta un ottimo spirito positivo, ma che comunque soffre un po' per la ripetitività. Non è affatto così brutta come credevo, però.

THE VOID

The Void porta giù la dinamica, concludendo l'album su note di pianoforte e voce bassa, per un pezzo ultra-riflessivo. Una delle più riuscite, è un epilogo che non ti aspetteresti dato il resto del disco - la produzione qui è la vera protagonista, però. I suoni sono tutti spettacolari, e c'è un momento verso il finale che mette i brividi ogni volta.

In essenza un album divertentissimo, che soffre per via della ripetitività di alcuni brani e per via di essere un po' sbilanciato: trovo la prima parte del disco, infatti, nettamente superiore alla seconda.
Tuttavia mi aspettavo molto, ma molto peggio - e alla fine abbiamo ricevuto un disco che, nonostante non si piazzi fra i miei preferiti dei Muse, non è neanche il più brutto, anzi.

Sono ancora confuso, ma Simulation Theory, in qualche strano modo, ha funzionato. Notevolissime anche le versioni alternative, soprattutto quella di Dig Down e di Algorithm, non perdetevele.







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